giovedì 6 aprile 2017

Aldo Van Eyck

Aldo Van Eyck fu un artista di origine olandese, nato nel 1918.
Emigrò in Gran Bretagna con la sua famiglia nel 1919, e fu proprio quì che iniziò i suoi studi, finiti successivamente al Politecnico Federale di Zurigo.
Van Eyck rimase in Svizzera fino alla fine della II guerra mondiale, e proprio in Svizzera entrò a far parte del circolo degli artisti d'avanguardia. Può essere considerato uno tra più importanti esponenti e protagonisti dello strutturalismo.
Ma per comprendere il pensiero e le opere dell'architetto olandese è necessario fare un passo indietro e descrivere, almeno in parte, il contesto storico, sociale e culturale in cui Van Eyck principalmente operò.
Gli anni '60/'70 furono caratterizzati da avvenimenti importanti, furono anni di lotte sociali e culturali, e la più grande aspirazione era la libertà.
La lotta per i diritti delle minoranze, la ribellione dei neri, la liberazione della donna, ed in generale i pensieri rivoluzionari e sociali che correvano in ogni angolo del globo, dall'Europa all'America, influenzarono molto direttamente ogni tipo di arte. Furono inoltre anni di grandi scoperte ed innovazioni tecnologiche, una tra tutte il pc, volte anche esse a migliorare la vita dell'essere umano e ad accrescerne la libertà.
In ambito architettonico questi nuovi temi entrano, più gradualmente rispetto alle altre arti, nel quotidiano, anche in questo caso con l'avvento di nuove tecnologie ma soprattutto di nuove modalità di esprimere l'architettura. Compaiono esempi importanti di questo processo in America, con il Mummers Theatre di Johansen, in Germania, con il parco olimpico di Behnish, Frei Otto e Grzimek, ma anche in Italia, con il progetto del ponte sullo stretto di Messina di Musmeci.
Questo spirito e queste ricerche si concretizzano, in particolare, nel '71 con il progetto di Piano e Rogers del Centro Pompidou, che rappresenta la volontà della "nuova" architettura di vivere la città e la vita contemporanee.
Proprio in questo si vanno a modificare anche i valori sociali e culturali, e ci si affaccia su uno scenario più "multiculturale", dove religioni, pensieri politici, modelli di vita e modelli di famiglia diversi iniziano a dialogare e a relazionarsi, sopra il grande palco rappresentato dalla città.
Particolare importanza ha il fatto che dalla ricostruzione post bellica non esistono più spazi "cuscinetto" tra la singola abitazione e la strada. Non vi è una sfera intermedia che attutisce lo sbalzo dal privato al pubblico.
Nasce così l'architettura della partecipazione, dove sono gli stessi utenti degli edifici che giocano un ruolo attivo e partecipe nelle decisioni progettuali.
E' in questo scenario che incontriamo Aldo Van Eyck, e il gruppo di architetti "Team X", di cui fece parte.
In particolare, l'architetto sopra citato, proprio in questi anni progetta quello che viene ricordato come suo capolavoro, la Casa della madre e del fanciullo, ad Amsterdam.
In questi nuovi progetti, che ripensano spazi tra pubblico e privato, è centrale la logica del tessuto, promossa direttamente dai residenti.
Un'altra opera fondamentale di Van Eyck, sempre con il tema sociale posto al centro, è l'orfanotrofio di Amsterdam.

 Orfanotrofio di Amsterdam
L'orfanotrofio progettato da Aldo Van Eyck alla fine degli anni '50 è situato nella immediata
periferia di Amsterdam che ormai è stata assorbita dall'espansione a sud della città.
All'immagine unitaria e colossale dello stadio (che si trova vicino l’area) si contrappone
l'immagine frastagliata di una marea di piccole cupole apparentemente sparse nel modo più
disordinato nel verde circostante; questa è la casa di circa 125 bambini e ragazzi che tra
l'età di alcuni mesi e i vent'anni passeranno qui parte della loro gioventù.

Il concetto che Aldo van Eyck introduce e sperimenta nel comporre questo edificio è quello della
"reciprocità". Secondo lui rimangono valide le diverse interpretazioni dello spazio e i diversi modi di costruire che che, attraverso i secoli, si sono sviluppati per rispecchiare le diverse strutture di stato d'animo legate a determinati luoghi e periodi. Ovvero non vede queste diverse interpretazioni dello spazio e diversi modi di costruire come dei momenti incompatibili, privi di una qualsiasi reciprocità.
Il tentativo di Aldo van Eyck in questo progetto è quello di costruire una casa come una piccola città. 
La sua ricerca si spinge attraverso una serie di forme primarie a cui applicare sviluppi cellulari.
Questo tessuto, o griglia, che si crea, permette all'architetto di creare numerosi spazi "semi-aperti", suggerendo un'ottima soluzione al problema della "soglia".
Altro aspetto molto tenuto in considerazione è quello sociale. Van Eyck infatti pone particolare attenzione agli spazi, in quanto sa di dover rivolgersi a dei residenti particolari, dei bambini orfani. Proprio per questo cura molto anche il tema degli ingressi, come a voler attenuare il trauma dell'entrata e ad amplificare la gioia dell'uscita.
 La pianta tenta di riconciliare le qualità di una pianta centrale con quelle di una pianta policentrica. Un gran numero di elementi diversi formano dapprima un motivo esteso e complesso. Questa disposizione garantisce inoltre un soleggiamento delle diverse sezioni durante tutto l'arco del giorno, e crea all'esterno degli spazi racchiusi e al riparo dal vento. 

giovedì 30 marzo 2017

Luoghi della Memoria

Immaginavo non sarebbe stato facile identificare un luogo della memoria, uno, tra tanti che ho vissuto e che ho fatto miei, che in qualche modo mi avesse segnata, “scossa”. Immaginavo di dover cercare un luogo che mi avesse in qualche modo fatta diventare quella che sono oggi, che mi avesse segnata a tal punto da avere costantemente ed inconsciamente voglia e bisogno di ricercarne caratteristiche, anche minime, in ogni luogo che vivo e che “creo”. Ho passato tutta la notte a ripercorrere momenti del passato per cercare di ridurre tutto ad un luogo, a cercare di capire se effettivamente un luogo c’è, a cercare di capire fondamentalmente chi sono, cosa mi piace, perché. Ho esaminato dettagliatamente ricordi, analizzato frammenti di vita, e ho capito che forse non riesco ad identificare un luogo particolare a cui ricondurre tutto, ma ho avuto ben chiara una sensazione che ho provato, e che tutt’ora provo. La libertà. E’ nei luoghi in cui mi sono sentita libera e in cui ho aperto completamente il cuore che ho lasciato qualcosa di me ma che soprattutto ho preso, mi sono riempita di colori, di luce, di sensazioni, di odori. E pensando a tutto questo, commuovendomi anche al pensiero, sono riuscita ad identificare tre luoghi, con cui ho avuto quello che identifico con l’imprinting: casa di mia nonna, la mia palestra, e il mare.
Magari è “sbagliato” avere tre luoghi della memoria, ma come posso scegliere? Con quale ordine si possono classificare i ricordi, le sensazioni, le emozioni, i luoghi di una vita? Sono arrivata ad avere questi luoghi, sono quello che mi è rimasto dopo un’attenta analisi, e credo fermamente di essere, anche come persona, una “mixitè” di questi luoghi, profumi, colori ed emozioni.

Della casa di mia nonna ho ricordi sfumati e pieni d’amore, sensazioni che tengo strette, ho un’immagine in particolare di sprazzi di luce che filtrano attraverso la moltitudine di piante che aveva in balcone, e di me che gioco con queste gemme di sole che si posano sulle mattonelle. Ricordo la forte presenza di legno in quella casa, le porte, gli arredi, che mi dava un senso di calore, ed infine ricordo le grandi finestre del salotto, ed il quadro di cielo azzurro a cui facevano da cornice. Sento di cercare ancora quelle caratteristiche in un luogo, e di ritrovarle nei luoghi in cui poi effettivamente mi sento bene, il rapporto con la natura, il calore del materiale, la presenza di luce e di ampiezza.



Della mia palestra posso dire di ricordare, sopra ogni cosa, l’odore. L’odore del parquet, l’odore dei palloni, cuoio e legno, odore di consumato, vissuto, di quello che amo e che amo fare. Ricordo la stradina in leggera salita che porta all’ingresso, circondata di verde, la forma curva. Ricordo il senso di libertà che provo quando gioco, la stessa sensazione che ho provato 15 anni fa entrando lì per la prima volta, quando per la prima volta ho sentito quell’odore nel mio naso e sulle mie mani, che mi ha scossa a tal punto che ancora adesso non so dir di no a quell’odore, a quelle sensazioni.  Riconosco queste caratteristiche in ogni posto che ho successivamente amato, e riconosco queste caratteristiche e volontà in quello che progetto, il verde che circonda e abbraccia, linee morbide, la volontà di andare oltre ciò che si può vedere e toccare.




E poi c’è il mare. E se penso al mare la mia mente vola subito in Sardegna, in una spiaggia chiamata Deserto di Piscinas, in cui il panorama è caratterizzato da 2 km di dune, che si estendono dall’entroterra fino alla costa. Questa zona è stata la meta preferita delle mie vacanze nel periodo d’infanzia, per quasi 10 anni ho vissuto questo panorama, questo paesaggio, l’ho fatto mio, o forse è lui che è entrato inconsciamente dentro me. Di questa spiaggia ricordo, oltre la sabbia e il colore cristallino del mare, lo stupore. Quella lunga strada che si apre tra le dune, che si arrampica e fa spazio nella natura, la sabbia e le piante che nascondono l’immensità del mare, l’odore della salsedine che si fa spazio piano piano tra i vari profumi della natura più selvaggia, fino a riempirti e stordirti l’olfatto in un secondo, lasciandomi una sensazione, ogni volta, di vuoto ma allo stesso tempo di pieno. Ho amato questa sensazione dalla prima volta, e so che continuerei ad amarla ogni volta come se fosse sempre la prima, come amo il vento in faccia e tra i capelli, il calore della sabbia e il sapore del mare sulle labbra e sulla pelle. Ed ogni volta che provo uno stupore forte la mia mente torna a quel momento, e a quell’odore.