giovedì 30 marzo 2017

Luoghi della Memoria

Immaginavo non sarebbe stato facile identificare un luogo della memoria, uno, tra tanti che ho vissuto e che ho fatto miei, che in qualche modo mi avesse segnata, “scossa”. Immaginavo di dover cercare un luogo che mi avesse in qualche modo fatta diventare quella che sono oggi, che mi avesse segnata a tal punto da avere costantemente ed inconsciamente voglia e bisogno di ricercarne caratteristiche, anche minime, in ogni luogo che vivo e che “creo”. Ho passato tutta la notte a ripercorrere momenti del passato per cercare di ridurre tutto ad un luogo, a cercare di capire se effettivamente un luogo c’è, a cercare di capire fondamentalmente chi sono, cosa mi piace, perché. Ho esaminato dettagliatamente ricordi, analizzato frammenti di vita, e ho capito che forse non riesco ad identificare un luogo particolare a cui ricondurre tutto, ma ho avuto ben chiara una sensazione che ho provato, e che tutt’ora provo. La libertà. E’ nei luoghi in cui mi sono sentita libera e in cui ho aperto completamente il cuore che ho lasciato qualcosa di me ma che soprattutto ho preso, mi sono riempita di colori, di luce, di sensazioni, di odori. E pensando a tutto questo, commuovendomi anche al pensiero, sono riuscita ad identificare tre luoghi, con cui ho avuto quello che identifico con l’imprinting: casa di mia nonna, la mia palestra, e il mare.
Magari è “sbagliato” avere tre luoghi della memoria, ma come posso scegliere? Con quale ordine si possono classificare i ricordi, le sensazioni, le emozioni, i luoghi di una vita? Sono arrivata ad avere questi luoghi, sono quello che mi è rimasto dopo un’attenta analisi, e credo fermamente di essere, anche come persona, una “mixitè” di questi luoghi, profumi, colori ed emozioni.

Della casa di mia nonna ho ricordi sfumati e pieni d’amore, sensazioni che tengo strette, ho un’immagine in particolare di sprazzi di luce che filtrano attraverso la moltitudine di piante che aveva in balcone, e di me che gioco con queste gemme di sole che si posano sulle mattonelle. Ricordo la forte presenza di legno in quella casa, le porte, gli arredi, che mi dava un senso di calore, ed infine ricordo le grandi finestre del salotto, ed il quadro di cielo azzurro a cui facevano da cornice. Sento di cercare ancora quelle caratteristiche in un luogo, e di ritrovarle nei luoghi in cui poi effettivamente mi sento bene, il rapporto con la natura, il calore del materiale, la presenza di luce e di ampiezza.



Della mia palestra posso dire di ricordare, sopra ogni cosa, l’odore. L’odore del parquet, l’odore dei palloni, cuoio e legno, odore di consumato, vissuto, di quello che amo e che amo fare. Ricordo la stradina in leggera salita che porta all’ingresso, circondata di verde, la forma curva. Ricordo il senso di libertà che provo quando gioco, la stessa sensazione che ho provato 15 anni fa entrando lì per la prima volta, quando per la prima volta ho sentito quell’odore nel mio naso e sulle mie mani, che mi ha scossa a tal punto che ancora adesso non so dir di no a quell’odore, a quelle sensazioni.  Riconosco queste caratteristiche in ogni posto che ho successivamente amato, e riconosco queste caratteristiche e volontà in quello che progetto, il verde che circonda e abbraccia, linee morbide, la volontà di andare oltre ciò che si può vedere e toccare.




E poi c’è il mare. E se penso al mare la mia mente vola subito in Sardegna, in una spiaggia chiamata Deserto di Piscinas, in cui il panorama è caratterizzato da 2 km di dune, che si estendono dall’entroterra fino alla costa. Questa zona è stata la meta preferita delle mie vacanze nel periodo d’infanzia, per quasi 10 anni ho vissuto questo panorama, questo paesaggio, l’ho fatto mio, o forse è lui che è entrato inconsciamente dentro me. Di questa spiaggia ricordo, oltre la sabbia e il colore cristallino del mare, lo stupore. Quella lunga strada che si apre tra le dune, che si arrampica e fa spazio nella natura, la sabbia e le piante che nascondono l’immensità del mare, l’odore della salsedine che si fa spazio piano piano tra i vari profumi della natura più selvaggia, fino a riempirti e stordirti l’olfatto in un secondo, lasciandomi una sensazione, ogni volta, di vuoto ma allo stesso tempo di pieno. Ho amato questa sensazione dalla prima volta, e so che continuerei ad amarla ogni volta come se fosse sempre la prima, come amo il vento in faccia e tra i capelli, il calore della sabbia e il sapore del mare sulle labbra e sulla pelle. Ed ogni volta che provo uno stupore forte la mia mente torna a quel momento, e a quell’odore. 






giovedì 9 marzo 2017

Sopralluogo

Alcune delle foto scattate durante il sopralluogo modificate con l'applicazione Prisma





martedì 7 marzo 2017

Leoncillo Leonardi - San Sebastiano Bianco

Leoncillo Leonardi nasce a Spoleto il 18 novembre 1915.
Inizia molto giovane, all'età di 15 anni, a lavorare la creta, con risultati incoraggianti, che lo spinsero ad iscriversi all'istituto d'arte di Perugia. Nel 1935 si trasferisce a Roma, raggiungendo il fratello maggiore, insegnante di lettere, il quale era stato allontanato dalle scuole pubbliche in quanto antifascista. A Roma Leoncillo si iscrive all'Accademia delle Belle Arti ed inizia a frequentare molti artisti contemporanei, tra cui Libero de Libero e Renato Guttuso.
Nel 1939 lascia Roma per trasferirsi a Umbertide, in Umbria, dove entra in contatto con la fabbrica di ceramiche di Settimio Rometti. Quì perfeziona
le sue tecniche sui materiali ceramici e sulle cotture.
E' in questo periodo che l'artista dà vita a una produzione di sculture di dimensioni notevoli, tra cui l'Arpia, i Suonatori e il San Sebastiano Bianco, custodito a Roma, nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna.
Si tratta di terrecotte policrome invetriate, modellate dall'interno, per ottenere volumi gonfi, dall'apparenza molle, cui gli smalti conferiscono bagliori che accendono la cromia.
Nel 1940 partecipa alla Triennale di Milano su invito di Giò Ponti, dove si aggiudica la medaglia d'oro per le arti applicate. Nel 1942 torna a Roma, dove riceve l'incarico di docente di plastica ceramica all'istituto statale d'arte.
Convinto antifascista, Leoncillo si avvicina alle organizzazioni partigiane romane, e successivamente alla brigata "innamorati", in Umbria. L'artista fu coinvolto profondamente dalla problematica del realismo nell'arte e dalla problematica dei temi sociali.
I primi anni '50 furono estremamente operosi e pieni di riconoscimenti per l'artista.
Nel marzo 1957 si tenne una personale alla galleria La Tartaruga di Roma, dove Leoncillo stesso dichiara conclusa la la propria esperienza dell'ambito del realismo di ispirazione socialista.
Intrapresa la strada dell'arte non figurativa, l'artista si dedica in seguito alla ricerca e alla sperimentazione.


Jannis Kounellis

Jannis Kounellis nasce il 23 marzo 1936, a Pireo, in Grecia. Ma si trasferì molto giovane in Italia, a Roma, per frequentare l'Accademia delle
Belle Arti,
E' considerato uno degli esponenti più rilevanti di quella che viene definita "arte povera".
Kounellis è interessato soprattutto all'aspetto materico dell'arte, come in Burri, ma anche alle sperimentazioni di Fontana, che tendono a spingersi oltre il quadro. La ripresa di elementi della realtà diventa per l'artista un'acquisizione fondamentale che caratterizzerà tutto il suo lavoro.
Le sue opere hanno per oggetto il carbone, la lana, il cotone, i sacchi, e già qui si può intravedere una poetica dell'originario che viene espressa in maniera semplice e minimale, attraverso la presentazione di questi materiali su basi di metallo. In queste opere di Kounellis c'è un forte richiamo al mondo del lavoro, sia rurale che industriale.
A partire dal 1960 l'artista inizia anche a creare delle composizioni di oggetti e materiali.
Con il passaggio agli anni '70 il lavoro di Kounellis si carica di pesantezza, dovuta alla frustrazione di fronte al fallimento dell'arte povera, vittima delle dinamiche commerciali della società.
Questo sentimento appare chiaro nella sua porta chiusa con delle pietre, presentata per la prima volta a San Benedetto del Tronto.Questo suo sentimento continua nel tempo, culminando con il lavoro presentato all'Espai Poblenou nel 1989, caratterizzato da parti di bue macellate ed affisse.
Tra le sue opere più importanti compare la stazione Metro di Piazza Dante, a Napoli, città in cui   l'artista lavora molto durante la sua vita (lavorò a piazza del Plebiscito, al Museo Madre, al Museo di Capodimonte).
 L'opera, del 2002, è composta da pezzi di rotaia che tengono stretti indumenti (cappelli, sciarpe, scarpe), maschili e femminili, forse a simboleggiare il continuo fluire dei passeggeri ma anche della loro stessa vita.